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L'arte di infilare al Nido - Silvia Iaccarino /****** Font Awesome ******/ /****** Collapsing Nested Menu Items | Code by Elegant Themes ******/

 

Il Nido “I papaveri” di Olgiate Comasco ha condiviso con noi un’altra delle loro interessanti attività (e che farà venire un infarto a qualcuno 😉 ): un lavoro di infilo con un vero ago da lana (si trova al supermercato o in merceria) e il mais gioco!

 

 

 

 

 

 

L’attività viene proposta solo ai “grandi” e in maniera individualizzata. Ovvero, l’educatrice affianca un bambino alla volta e lo controlla per tutto il tempo.

Le educatrici testimoniano che ai bimbi il lavoro piace tantissimo e che riescono a maneggiare correttamente l’ago con una facilità estrema, fin dalla prima volta (e nessuno si è mai fatto male!!).

Del resto, se osserviamo le immagini, possiamo vedere la precisione con cui il bambino usa l’ago e l’accuratezza dei gesti.

 

 

 

 

 

 

Con quest’attività i bambini hanno realizzato delle decorazioni per il Nido.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I genitori apprezzano molto questo tipo di proposte e sono stupiti dalle competenze fino-motorie dei bambini.

L’attività facilita, infatti, lo sviluppo della motricità fine, della coordinazione oculo-manuale, della destrezza, favorisce attenzione e concentrazione, consente ai bambini di conoscere le proprietà dei materiali e come essi funzionano e permette di creare nuovi nessi di causa-effetto. In questo senso, può essere interessante proporre successivamente ai bambini la stessa attività con materiali diversi come, per esempio, la gommapiuma, il polistirolo, stoffe di varie texture, cartoncini sottili o carta, foglie, etc. L’attività può diventare così anche occasione per mettere in campo la sensorialità a vari livelli, permettendo inoltre al bambino di ampliare il suo bagaglio di conoscenze e di abilità.

Rispetto al tema del “rischio” connaturato all’attività, trattandosi di un vero ago, concludo citando il professor Gianfranco Staccioli il quale, nel numero 3/2017 della rivista “Nidi d’infanzia”,  afferma: “Se non si corrono dei rischi, non è possibile imparare a vedere e prevedere i pericoli. Vogliamo chiamarla educazione al rischio? Un bambino che cresce nell’ovatta ha più incidenti di chi sperimenta dei rischi. Se non si impara a conoscere i rischi, si è preda dei pericoli”.